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Ricettario d’autunno: i cicci cotti

Cicci cotti•••

Quando ero bambina, la fine del mese di ottobre per la mia famiglia corrispondeva sempre con la ricerca spasmodica di ingredienti perduti provenienti dalle nostre terre di origine in previsione del giorno dei Morti.

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Sono nata a Napoli ma nessuno dei miei nonni era originario di quella città. Per due quarti sono pugliese, per un quarto molisana e per un quarto lucana. Quindi anche le mie tradizioni culinarie provengono da quelle terre in un meltin’ pot di sapori e odori legato a storie di tratturi, emigrazione e dialetti dei più vari.

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Nel mio ricettario d’autunno ci sono ingredienti base, come ad esempio il mosto cotto (sciroppo denso e scuro usato come dolcificante in moltissime ricette pugliesi e molisane), che ho enormi difficoltà a trovare ora che nessuno dei miei parenti più lontani ha più una vigna o è disposto a trascorrere ore e ore a cuocere e filtrare l’uva fino a trasformarla in uno sciroppo delizioso.

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Però ai miei “cicci cotti” io non rinuncio e, tra mille peripezie, sono finalmente riuscita a trovare un piccolo produttore abruzzese, D’Alessandro, che fa composte e marmellate spettacolari a chilometro zero, che mi procura il mosto cotto necessario per ossequiare i Morti e celebrare i Santi in una ricorrenza che mi mette in diretto contatto con le mie radici.

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La ricetta di mio nonno prevede un mix di grano cotto, chicchi di melograno, pezzetti di cioccolato fondente, noci sminuzzate e frammenti di canditi, il tutto condito con questo sciroppo dolce, scuro e denso d’uva (che metto da parte fino a Natale per farci i dolcetti che condivido con tutta la famiglia). È un must nel mio ricettario d’autunno.

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Non a tutti piace, ma io adoro questa ricetta che ha tutti i colori e i sapori dell’autunno, dal marrone del mosto, all’oro del grano, al bordeaux del melograno, al beige delle noci, all’arancio dei canditi. 

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È un viaggio nel gusto del mio passato, della mia infanzia, delle radici della mia famiglia. Quelle radici che non ho voglia di perdere e che non vedo l’ora di tramandare alla mia bambina e che spero lei trasmetterà a chi verrà dopo.

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E il mio vecchio ricettario gioca un ruolo fondamentale in questo recupero delle origini perché è scritto a mano da mio nonno. La sua grafia mi è talmente familiare che la riconoscerei tra mille.

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Scrivere e riscrivere le ricette a mano dopo averle provate e riprovate su fogli spesso sporchi di uova, farina, zucchero è un modo per mettersi in contatto con chi ci sta accanto e con quelli che verranno dopo di noi. Trasmettere loro il nostro gusto, i nostri tentativi, la nostra cura per le piccole cose è quello che cerchiamo di fare mettendo nero su bianco le ricette dello stare insieme.

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Hai anche tu un ricettario d’autunno che scrivi a mano? Conservi anche tu scrupolosamente le ricette dei tuoi nonni come faccio io? Parliamone insieme nei commenti!

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